Giulietta e lo scugnizzo

Giulietta, di tutti i sentimenti che conosceva, era specializzata in uno solo: il rimpianto.

 

Luca Bianchini per Caffè Vergnano
Luca Bianchini per Caffè Vergnano

Viveva ogni giorno riguardando il suo passato, continuando a chiedersi come mai non avesse avuto coraggio di ribellarsi e difendere quel fidanzatino che lei, da subito, aveva capito sarebbe stato il grande amore della sua vita.

Si chiamava Ciro, provava a fare il calciatore, aveva studiato poco ma quando la guardava non aveva bisogno di mettere i congiuntivi al posto giusto.

L’aveva abbordata a piazza del Plebiscito mentre lei usciva da Gambrinus e Ciro cercava qualche turista per scucire qualche soldo che, con i suoi occhioni azzurri, riusciva sempre a racimolare.

Lei, appena lo vide, strinse a sé la borsetta.

Conosceva bene quello scugnizzo, che vedeva sempre in giro a perdere tempo e da cui tutte le sue amiche le suggerivano di stare alla larga.

Ma Giulietta quegli occhi non riusciva proprio a scordarseli. E così, quando lui si offrì di accompagnarla fino a casa, lei ribattè: “Sì, ma solo all’inizio della via che se mi vede mia madre che passeggio con te…”

Ciro la guardò come dire: “E che c’entra tua madre?”, ma non riuscì a spiaccicare parola, perché anche lui era in balia del suo innamoramento.

Giulietta abitava a Chiaia, all’ultimo piano di un palazzo storico con una vista mozzafiato. Suo padre era uno dei più grossi notai della città, e sua madre era così ricca che tutti la chiamavano “la contessa” senza che avesse alcun titolo.

Ciro abitava a due passi da Giulietta, ma in un quartiere impenetrabile anche per la polizia: il Pallonetto.

Era fatto a labirinto, per cui, se decidevi di entrare, sapevi che potevi anche restarne prigioniero. Quando Ciro la salutò, le disse: “Beata a te che stai in quella bella casa… io me ne torno nel mio quartiere…” E Giulietta, che era già perdutamente innamorata, gli diede appuntamento il giorno dopo da Peppino per prendere un caffè. Scelse un bar poco famoso per non essere riconosciuta, perché per tutti lei era “la figlia della contessa.”

Dopo le prime tazzurelle di caffè, Ciro – che aveva sempre avuto le ragazze ai suoi piedi –non ebbe problemi a far capitolare anche Giulietta. Lei non lo confidò a nessuna delle sue amiche, terrorizzate che lo dicessero a sua madre.

Fino a che un giorno la contessa entrò in casa e li scoprì: Ciro e Giulietta a Napoli.

Dopo aver allontanato lo scugnizzo e aver messo in punizione sua figlia per settimane, Giulietta si rese conto che la sua storia d’amore sarebbe stata in salita. Ma era stata ottimista.

 

La contessa, che a Napoli era una potenza, riuscì a mettersi in contatto con uno dei capi del Pallonetto: si portò una mazzetta di soldi, e chiese al boss che Ciro non stesse più attorno a sua figlia.

Una mattina Ciro venne affiancato dal boss che, senza alzare la voce, gli disse di stare lontano da quella ragazza se non voleva farlo arrabbiare.

Ciro capì, si disperò, ma obbedì. E per fuggire da quel dolore decise di fare provini per trovare una squadra di calcio lontano da Napoli.

Lo presero a Gaeta, dove si trasferì e giocò per molti anni.

 

Ogni tanto rientrava a Napoli, nel suo Pallonetto, e tutti gli chiedevano sempre “quando torni” e lui pensava solo a scappare, per non avere la tentazione di sapere che fine avesse fatto Giulietta.

A Gaeta aveva trovato non solo una squadra pronta ad accoglierlo, ma anche una vita più regolare. Dopo aver fatto strage di cuori per desiderio di vendetta, aveva trovato Paola, e Paola l’aveva riconciliato con se stesso e con la vita.

Nel frattempo aveva fatto due gemelline belle come il sole.

Quando sua madre cadde dalle scale e si fracassò il femore, fu costretto a tornare a Napoli più spesso. E in un giorno in cui gli venne voglia di fare quattro passi, arrivò da Gambrinus, dove nessuno lo riconobbe, e vide Giulietta seduta a un tavolino.

Beveva un caffè sola.

Era ingrassata, ma i suoi tratti erano rimasti gli stessi di quando erano ragazzi. “Ciro, Ciro!”, disse lei come se il tempo si fosse fermato.

E Ciro si sedette al suo tavolo senza chiedere permesso.

Lui la riaccompagnò nella sua nuova casa, non distante da quella dove ancora vivevano il notaio e la contessa. Giulietta non solo lo fece salire, ma gli disse che lo stava aspettando da trent’anni. “Me lo sentivo”, rispose lui, “me lo sentivo.”

La baciò con passione ma non ebbe il coraggio di andare oltre. “Lasciami un po’ di tempo e tornerò”, le disse. “Ho aspettato 30 anni, non ho fretta” rispose Giulietta con un filo di voce.

Lui rientrò a Gaeta, fece una borsa e disse a sua moglie: “Domani torno a Napoli.”

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Un commento su “Giulietta e lo scugnizzo”

  • Roberto Ruggeri says:

    È’ un piccolo racconto ma la tua capacità di rendere questi finali così belli e sospesi che io apprezzo tantissimo, conferma che sei il mio scrittore preferito !!!!!

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